Alla fine del tempo propizio, sprofonderemo nella quintessenza delle nostre personali immagini per riacquistare l’estraneità che ci appartiene.
Quando il tempo non sarà più un barattolo per i ricordi, sospenderemo la gratitudine, cesseremo di riconoscerci e di porgerci i saluti.
Il tempo sarà una fredda sequenza a quattro cifre che ci racconterà incantevoli menzogne e, svenduti al soffio vitale e allo spettro di noi stessi, le chiameremo nostalgia.
Oltre l’odio e la rabbia, il silenzio ci avvelenerà e, estranei nella forma e nella sostanza, lo chiameremo solitudine.
Scruteremo l’abisso per capire cosa ci abbia mai unito con un riverbero che non sapremo più definire ma con un’illusione, un inganno e una bugia in meno da alimentare.