Il dolore è poca cosa rispetto all'oltraggio
14 nov 2015
13 nov 2015
Non ti muovere
10/11/2015
06:45Alla fine del corridoio del reparto c'è una statua adornata di fiori, non capisco chi rappresenti.
Mi avvicino, ha una mano alzata in segno di benedizione.
A me sembra dire fermati, non ti muovere.
Non ti muovere. E non mi muovo, rimango immobile a metà corridoio.
Mi manca il respiro, e non è una metafora.
10 nov 2015
Stenopeica
09/11/2015
3.45
la vecchia dorme, anzi, la vecchia russa e io non dormo con questa stronzetta che russa. Odio le persone che russano. Mia madre russa, mio padre dorme con i tappi in un’altra stanza. Fui felice a 18 anni e mezzo di scappare di casa per andare a studiare in un’altra città. Non dormivo quasi mai la notte, non so quanti modi di ucciderla ha partorito la mia mente, nella mia testa la facevo agonizzare infliggendole le torture più atroci. Il mio gatto russa, a lui però non mi sogno di infliggere nulla, lo abbraccio, gli faccio cambiare posizione, lo sveglio coccolandolo, faccio i grattini, lui fa le fusa, si rilassa di più e russa più forte.
4.24
Deambulo per tutto il reparto, sbircio nelle altre stanze, vorrei fotografare tutti, registrare tutti i diversi modi di russare, montarli su un video e creare un’orchestra. I loro pigiamini, gli occhiali mentre dormono, la bottiglietta d’acqua sul tavolino, alcune il rossetto. Le persone fanno le richieste più assurde dentro la stanza di un reparto. Una ha voluto la foto dei suoi tre nipoti, una la cartaigienica –non ricordo di che marca- con le margherite ed è profumata, una la retina per i capelli. Ho pensato che era eccessivo chiedere al mio amico di portarmi, oltre al cell, tablet e libro, la Nikon. L’infermiera di turno dice che le dosi da cavallo che m’hanno dato sono per me acqua sporca. Io le rispondo “ammazzami”, mi guarda perplessa e con sguardo sospettoso.
5.13
Il dottore, il mio, dice che ho la steno... e non ricordo mai tutta quella roba completa. Quando lo disse la prima volta, lo disse così velocemente che io capii “stenopeica”. E devo aver fatto una faccia veramente buffa se quello è sbottato a ridere dicendomi “guardi, è di una certa gravità”. E adesso quando mi chiedono, dico “ho la stenopeica”. E pensavo pure, mentre quello parlava, e adesso chi lo dice che ho la stenopeica.
11 lug 2015
Modello e rappresentazione nella tematica delle statue animate nella mitologia greca
Una delle più antiche prove che mostra come i sogni manifestino la loro realtà oggettiva, ci viene offerta dall’ Olimpica XIII. Pindaro narra come la dea Atena apparsa in sogno a Bellerofonte, gli dona un morso fatto da anelli d’oro con il quale avrebbe domato Pegaso permettendogli di sconfiggere le Amazzoni, uccidere la Chimera e sbaragliare i Solimi. La statua della dea Atena non è nominata ma la figura del dio che appare in sogno è immaginata simile alla statua di culto abitualmente venerata con-fondendosi così l’una con l’altra e ritenendo possibile che la stessa statua potesse elargire anche responsi. Artemidoro afferma che non vi è alcuna differenza nel sognare una divinità e la sua immagine di culto, dato che ciò che viene messo in rilievo è la forma dell’apparizione. In molti casi la statua acquista movimento e parola durante il sogno ma, insiste Artemidoro, questo avviene a condizione che la divinità si presenti al dormiente nella sua forma abituale e con i tratti specifici che le appartengono, meglio ancora se si presenta gioiosa, rivelando al dormiente cose buone. Se ciò non accade, il messaggio del sogno potrebbe essere ingannevole o mutare di significato. La tematica delle statue animate svolse un ruolo importante nella Grecia classica e antica, anche se in un primo tempo queste pratiche religiose non vennero accolte favorevolmente. La spiegazione è data dal fatto che il sogno si svolge in uno spazio e in un tempo indeterminati dove l’ordine divino è sospeso. Nel sogno si stabiliscono legami con le potenze primordiali garanti di una sapienza che è anche conoscenza delle cose future, dalla quale le stesse divinità olimpiche, in primis Apollo, dipendono dai loro oracoli. Possibilmente questo tipo di azione rendeva, nella Grecia arcaica e classica, impraticabile questo tipo di divinazione. Essa, creando rapporti diretti con il tempo delle <<origini>>, e quindi tralasciando l’ordine stabilito dagli dei, veniva in contatto diretto con le fonti prime della conoscenza. Solo in età tarda, al rafforzarsi delle credenze in forze sovrannaturali e in relazione col neoplatonismo, si sviluppò la credenza nelle statue animate (con o senza rituali e riconducibile alla magia simpatica).
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7 giu 2015
Volevo essere Janis Joplin
Io amavo Christiane F. e tutti i ragazzi dello zoo di Berlino.
Avevo il mal di pancia, i crampi allo stomaco in un movimento spastico-circolare al basso ventre: le mie emozioni un eccesso, distruttive, i miei orgasmi hanno sempre avuto un qualcosa di doloroso.
Tossica nell’anima. Avrei voluto essere Janis Joplin. Ascoltavo e suonavo Jimi Hendrix. Avrei voluto un cazzo enorme. Fottere il mondo intero.
Accadeva che le cose che più desideravo, a forza di desiderarle così tanto, ad un certo punto, non le ho più desiderate. Dopo aver lottato, pianto, sofferto, essermi disperata.. Ad un certo punto, dico ad un certo punto, scattava un meccanismo perverso accompagnato da un forte senso di rifiuto, nausea e vomito. Claustrofobia. Somatizzo tutto io. La rabbia era così tanta che avevo voglia di distruggerle tutte le cose. Frantumarle. Farle a pezzettini. Come un foglio di carta strappato nella sua infinitesima parte fin quando non lo si riesce più a tagliare. Buttato poi in aria come coriandoli, giunto al suolo per essere calpestato come fanno i bambini piccoli con quel piedino che ripetutamente sbatte a terra, il movimento meccanico del piegare e allungare la gamba, braccia tese leggermente allargate concentrate sui pugni stretti, schiena curva sull’oggetto della distruzione, fronte ingrugnata, sguardo come a dire e muori. Poi alzano il viso. I lineamenti sono più distesi. Si girano e vanno a fare tutt’altra cosa, con un senso onnipotente di orgoglio e soddisfazione.
Accadeva frequentemente nella fase pre-adolescenziale, quando desideravo una vita comune normale, come tutti gli altri. Perché il volersi distinguere, l’essere originali, il differenziarsi è un processo che matura dopo, mai prima. Si vuole, semplicemente, essere conformi a. Una conformità che indica l’appartenenza a una comunità, a un gruppo, sia pure familiare, amicale. Sentendosi così protetti, in comunione, in armonia e ne sono stata privata. Esclusa. Emarginata.
Il corpo è un indicatore di armonia, saggezza, bellezza. Il mio doveva indicarne ben molto poco di questi requisiti a giudicare dagli sguardi rivoltimi: biasimo, pietà, disprezzo, scherno. Compassione talvolta. Poveretta nel migliore dei casi.
Rientravo a casa da scuola con l’eco delle burla in testa. Le risate, gli sfottò: umiliata, ferita, impotente. Col capo chino. Gratuito. Tutto gratuito. Aggratis.
Mi chiudevo nella mia camera dove trascorrevo le ore. Io e le quattro mura. Uscire era un lusso che non volevo permettermi e che, in ogni caso, non mi sarebbe stato concesso. Andare a fare shopping, la migliore delle tragedie greche. Le commesse, le commesse dei negozi, che non trovavano mai una taglia adatta. ‘No, ci dispiace… Arriviamo alla 44 ‘ E sempre quella commiserazione nei loro sguardi da capo a piedi, quello sguardo inquisitorio, quasi.
Non amavo molto leggere, mi annoiava, mi stancava. Solo qualche rivista che trattava di gruppi e strumenti musicali, o qualcos’altro di simile. Mi ci perdevo in quel mondo. Leggevo di Woodstock, dei figli dei fiori, della beat generation. Bob Dylan, Joan Baez, Janis Joplin. Passavo ore a tradurre i testi delle loro canzoni (l’avvento di internet e google sarebbe arrivato molto più tardi) ancor prima di averli ascoltati. La musica che dominava fuori era quella che imperversava nelle radio. Il pop dei primissimi anni ’80: Madonna, Michael Jackson, Duran Duran, Spandau Ballet. I nostri erano Al Bano&Romina Power, Toto Cotugno, Fausto Leali, Claudio Baglioni, Anna Oxa, FIOR-DA-LISO!!! Patty Pravo, De Andrè , Gaber, per i più esigenti. Ero così a cavallo tra due generazioni: la fine di una e l’inizio di un’altra. Dentro era tutto Woodstock-figli dei fiori-love&peace, fuori Madonna. Dualismo che allegoricamente e metaforicamente mi porto dietro come croce: sentirmi fuori luogo, in ogni occasione. Sempre, comunque e ovunque, in ogni dove.
Al quattordicesimo compleanno i miei mi regalarono uno stereo. Piatto con testina e puntina, doppia cassetta, radio, antenna. Alta tecnologia. Acquistai il mio primo vinile. Deep purple – Made in Japan, doppio, live. £ 14.000, una cifra ai tempi. Il suono di quelle chitarre elettriche aveva il potere di farmi estraniare da tutto e da tutti, da me stessa anche. Soprattutto.
Dentro quelle quattro mura ballavo, cantavo a squarciagola, urlavo, contro l’ira dei miei e dei vicini. Un giorno ero a un concerto dei Doors, un altro a quello degli Iron Maiden, un altro ancora AC/DC. Poi non bastava più andare ai concerti: ero io Janis Joplin. Con il bastone della scopa come asta del microfono, jeans strappati, occhialoni scuri alle 6 di pomeriggio in pieno inverno, dentro la mia cameretta. Porta chiusa a chiave. Do not disturb, please: il genio sta operando. Ero, ovviamente, tossica, alcolizzata e… anoressica. Non riuscivo a portare a termine i miei concerti. Cadevo, svenivo, con l’asta del microfono addosso, il braccio destro teso e tumefatto (chissà poi perché quello destro dato che non sono neanche mancina): troppo fatta e strafatta. Accorrevano i miei musicisti preoccupatissimi, le guardie del corpo e la polizia. Lettiga-ambulanza-ospedale-letto-flebo. E là morivo, a 27 anni, entravo nel club dei dannati. Ma se riuscivo a portarli a termine -i miei concerti, il tuffo dal palco in mezzo alla marea di gente, non me lo toglieva nessuno. Acclamata. Osannata. Glorificata. Un orgasmo. Quando invece avevo la vena distruttiva ero Jimi Hendrix. Distruggevo le mie scope come le sue chitarre. E i lampadari nel mimare il gesto.
Nacque tra queste quattro mura l' attitudine tossica e tale rimase: un’attitudine. Non ho mai avuto un buon rapporto con le droghe anche se in seguito ne ho fatto uso e abuso. Di quelle leggere soprattutto. La coca l’ho tirata per un periodo, l’eroina la fumavo. Fumavo tutto io. Mi è sempre piaciuto molto fumare. Qualsiasi cosa, anche camomilla, the verde e alloro.
Cosa potevo fare fuori da questo mondo, a chi rivolgere la parola ammesso che avessi qualcosa in comune con qualcuno, che c’entravano con me? Era tutto di una banalità sconcertante.
Non avevo tempo da perdere per stare dietro alla ripetitiva e ossessiva monotonia di tutti. Li guardavo dall’alto della mia superiorità. A testa alta. Erano loro i poveretti, i meschini. Mai lo feci loro pesare.
Ero una star. Una star love&peace.
Tutto il resto era noia. Mortale.
7 apr 2015
Alla fine del tempo propizio, sprofonderemo nella quintessenza delle nostre personali immagini per riacquistare l’estraneità che ci appartiene.
Quando il tempo non sarà più un barattolo per i ricordi, sospenderemo la gratitudine, cesseremo di riconoscerci e di porgerci i saluti.
Il tempo sarà una fredda sequenza a quattro cifre che ci racconterà incantevoli menzogne e, svenduti al soffio vitale e allo spettro di noi stessi, le chiameremo nostalgia.
Oltre l’odio e la rabbia, il silenzio ci avvelenerà e, estranei nella forma e nella sostanza, lo chiameremo solitudine.
Scruteremo l’abisso per capire cosa ci abbia mai unito con un riverbero che non sapremo più definire ma con un’illusione, un inganno e una bugia in meno da alimentare.